Torna il saggio sulla "Bibbia proibita"

By 14 Agosto 2015Cultura

BOLOGNA – Torna in libreria dopo quasi vent’anni “La Bibbia al rogo” di Gigliola Fragnito, storica del Cinquecento e docente di Storia moderna presso l’Università di Parma.

Ripubblicato dalla casa editrice il Mulino, il testo, come precisa il sottotitolo, affronta “la censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura” nel periodo tra il 1471 e il 1605 attraverso uno studio approfondito ma agile, articolato su nove capitoli nei quali Fragnito affronta un percorso storico che parte dalle traduzioni della Bibbia stimolate dalla Riforma (senza dimenticare di offrire uno sguardo sulle numerose edizioni precedenti alla Riforma, dettaglio che sottolinea un interesse costante degli italiani per la Bibbia), per proseguire con la decisione di Paolo IV nel 1559 di mettere la Bibbia all’indice, vietandone la lettura ai fedeli: confermata dal Concilio di Trento cinque anni dopo, la decisione ha causato il drammatico ritardo culturale che la Penisola patisce ancora oggi, in termini di conoscenza biblica, rispetto al nord Europa, e ha anche contribuito – rileva l’autrice – alla definizione di alcuni tratti evidenti dell’immaginario collettivo nazionale.

La ricerca di Fragnito, accompagnata da un’ampia documentazione bibliografica, prosegue analizzando dapprima il ventennio 1564-1583 (relativo all’indice di Guglielmo Sirleto) e poi i passaggi che portano all’emanazione del definitivo indice clementino (1596) e alle sue conseguenze; per ogni periodo preso in esame vengono valutati di pari passo le traduzioni bibliche (“volgarizzazioni”) emerse in Italia e in Europa e la parallela attività censoria nei confronti delle pubblicazioni. Chiudono il volume due capitoli dedicati, nello specifico, al sequestro dei testi e alla loro distruzione.

«La scarsa familiarità con il testo sacro – spiega Fragnito nell’introduzione – lungi dall’essere, come si potrebbe facilmente pensare, una conseguenza dei processi di secolarizzazione e, quindi, di un progressivo e autonomo distacco dalla Scrittura sotto la spinta della cultura laica, è in realtà il risultato di una sorta di rimozione, imposta da Roma per oltre due secoli attraverso il divieto di leggerne traduzioni in italiano»; un divieto che interruppe «una pratica di lettura che si era gradualmente diffusa nel tardo medioevo» e che «continuò a condizionare, anche dopo la revoca di esso a metà Settecento, l’atteggiamento diffidente del clero di fronte a una frequentazione biblica a torto ritenuta di marca protestante». La stessa attività censoria, rileva Fragnito, provocò imbarazzo e difficoltà nell’applicazione dei divieti per la capillare diffusione dei testi, dimostrando una “familiarità” del popolo nei confronti della Bibbia che perfino il Concilio di Trento dovette riconoscere.

L’evoluzione della censura, segnala peraltro l’autrice, fu “tutt’altro che lineare” a causa anche delle lotte di potere tra gli uffici preposti, il Sant’Uffizio e la Congregazione dell’Indice, dove alla chiusura più intransigente del primo (che ragionava nei termini di «una sostanziale equiparazione tra Scrittura ed eresia») si opponeva la richiesta di un intervento più morbido da parte del secondo; questo, con il suo impegno, riuscì alla fine a strappare maggiori concessioni almeno per alcune aree (in particolare il nord Europa), in modo da fornire “ai cattolici… una conoscenza della Scrittura adeguata a quella dei loro interlocutori protestanti”.

Secoli di più o meno attente censure comportarono un impoverimento culturale, ma anche un approccio diverso con il testo biblico: «proibita e rimossa – conclude Fragnito – perché fonte di eresia, la Sacra Scrittura finì col confondersi, nel vissuto degli italiani, con gli scritti degli eretici». I roghi, insieme ai libri, mandarono in fumo una confidenza che, dopo quasi cinquecento anni e i recenti sforzi cui negli ultimi anni si è aggiunta anche la stessa Chiesa cattolica, gli italiani faticano ancora a recuperare.

Il libro:
Gigliola Fragnito
La Bibbia al rogo
il Mulino, 2015
345 pp – 14 euro

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